Normalmente nella popolazione il 15-20% è colpito da disfunzioni tiroidee (per lo più sono donne che ne soffrono da 5 a 10 volte di più rispetto agli uomini). Tuttavia, nei celiaci la frequenza di malattie tiroidee è più elevata e può arrivare fino al 30%.
Tutta colpa del sistema immunitario
Va detto che non tutte le disfunzioni sono legate a carenze di iodio nella dieta, il minerale indispensabile per la sintesi degli ormoni tiroidei, la cui carenza provoca ipotiroidismo. Esiste invece un tratto, una base genetica comune, che collega le malattie su base autoimmune come l’intolleranza al glutine e le tiroiditi. In questo caso nell’organismo si creano degli anticorpi che, anziché proteggere, attaccano la tiroide danneggiandola, creando così ipotiroidismo, oppure, al contrario, stimolano la produzione ormonale facendo scivolare il soggetto nell’ipertiroidismo. Nel caso della tiroidite di Hashimoto, condizione spesso associata alla celiachia, si formano degli autoanticorpi diretti contro le proteine presenti nella tiroide. Queste sono la tireoglobulina, una proteina di deposito della tiroide che contiene gli ormoni T4 e T3, e la tireoperossidasi, l’enzima che è necessario per la sintesi di tali ormoni. Viceversa, in caso di autoanticorpi attivanti i recettori per il TSH, ossia l’ormone tireostimolante, si assisterà a un’aumentata sintesi degli ormoni tiroidei che porterà all’ipertiroidismo. Si tratta di forme meno comuni, la più nota è la malattia di Graves-Basedow che riguarda circa l’1% della popolazione ma che, secondo la ricerca, è più diffusa nei celiaci.
I sintomi possono confondersi
Nelle forme benigne (quelle maligne sono i tumori che però non c’entrano con la celiachia) si assiste a una condizione di eutiroidismo: la ghiandola funziona regolarmente, ma si ingrossa in toto (gozzo) o in parte (nodulo). Generalmente queste forme non vengono trattate in prima istanza, ma si tengono sotto controllo.
In generale, è bene ricordare che quando ci sono pochi ormoni circolanti (ipotiroidismo) si ha un rallentamento del metabolismo e di molte funzioni organiche. Avviene il contrario, si verifica cioè un’accelerazione metabolica, se gli ormoni sono troppi (ipertiroidismo).
A proposito di sintomi ci sono due aspetti che può essere interessante ricordare. Il primo è che nella fase iniziale acuta di una infiammazione della tiroide che porterà all’ipotiroidismo, si verifica una forte dismissione di ormoni da parte di questa. Di conseguenza si presenterà la tipica sintomatologia ipertiroidea che potrebbe trarre in inganno sulla reale patologia in atto.
Il secondo aspetto riguarda alcuni sintomi che possono avere in comune l’intolleranza al glutine, in particolare se non trattata, e le forme benigne tiroidee. Ovvero anemia, osteoporosi, problemi riproduttivi, disturbi intestinali, per fare qualche esempio. Una condizione, perciò, che può nascondere l’altra. Alcuni sintomi sia di ipo che di ipertiroidismo sono aspecifici e possono venire confusi con quelli della celiachia. Tuttavia, va ricordato che dal punto di vista clinico non c’è alcuna associazione tra questi: gli effetti collaterali della celiachia sono principalmente dovuti al malassorbimento delle sostanze nutritive causato dell’atrofia dei villi intestinali, mentre riguardo alla tiroide la situazione è molto più complessa.
Dopo la diagnosi, che succede?
Diagnosticare eventuali disfunzioni tiroidee è semplice ed economico: basta un test sanguigno. In caso di positività al test, dopo l’esame ecografico, per gli intolleranti al glutine si apre l’eventuale accertamento del tipo di patologia autoimmune con la ricerca degli autoanticorpi che permette di effettuare una diagnosi precisa e può fornire qualche idea sull’evoluzione della malattia.
Se opportuna, può venire consigliata la terapia sostitutiva con gli ormoni tiroidei allo scopo di evitare gli effetti di possibili carenze. Quando ciò accade a un celiaco diagnosticato da poco tempo, è fondamentale che, grazie alla dieta priva di glutine, venga ripristinata il prima possibile la funzionalità intestinale. L’atrofia dei villi, infatti, potrebbe non consentire un ottimale assorbimento dell’ormone tiroideo di sintesi, rendendo vano il trattamento.
L’importanza di una dieta corretta
La dieta aglutinata risulta, perciò, determinante sia per aumentare l’efficacia della terapia ormonale per la tiroide sia per non sollecitare il sistema immunitario. Tuttavia va ricordato che, oltre all’eliminazione del glutine, un’alimentazione appropriata è comunque consigliabile specie quando non risulta necessario ricorrere subito alla terapia sostitutiva.
In linea generale, per consentire alla tiroide di lavorare regolarmente, è importante assicurare un apporto regolare di iodio per la sintesi degli ormoni. La quantità di iodio da introdurre con gli alimenti è minima, si tratta di microgrammi. Si parte dai 50-70 μg per lattanti e bimbi piccoli, per arrivare ai 150 μg per ragazzi e adulti, fino a un massimo di 200 per le donne che allattano. I cibi più ricchi di iodio sono quelli di origine marina, dai pesci alle alghe, un tempo usate per il trattamento del gozzo; la quantità di iodio presente nei vegetali dipende dal terreno di coltivazione e aumenta avvicinandosi alle coste. Anche l’acqua di rubinetto contiene questo prezioso minerale. Non è così per quella di montagna, acqua naturalmente oligominerale. Al contrario lo iodio abbonda nelle acque salsobromoiodiche, di origine marina, il più delle volte però talmente concentrate da poter essere utilizzate solo per trattamenti termali.
Nella dieta, inoltre, non va trascurato l’apporto vitaminico: in particolare delle vitamine A, C, E, che esercitano un’azione antiossidante e protettiva in quanto gli ormoni sono vulnerabili all’azione ossidante dei radicali liberi; e la vitamina B6, che partecipa alla sintesi degli ormoni tiroidei.
Concludendo, l’alimentazione migliore per la tiroide deve essere variata, ricca di frutta, verdura, pesce e alimenti di origine marina, possibilmente alternando le zone di provenienza. Una dieta varia che non ha più bisogno di escludere completamente i cibi un tempo chiamati gozzigeni per via della loro interferenza sulla sintesi degli ormoni, ossia cavoli, rape, senape, fagioli di soia, pinoli e arachidi.