Quella dell’Indice Glicemico è una delle principali novità degli ultimi decenni nel campo della dietologia
L’applicazione dell’indice glicemico ha rivoluzionato alcuni concetti di base relativi all’effetto dei carboidrati sull’organismo, ma non solo. Sia nella medicina ufficiale sia in quella naturale, l’indice glicemico è ormai un dato acquisito. La scoperta dell’IG risale al 1981 e si deve a David Jenkins, un professore di Scienza dell’alimentazione dell’Università di Toronto in Canada. Jenkins si era accorto che la glicemia dei pazienti a parità di grammi di zuccheri ingeriti si comportava in modo sorprendentemente diverso. Un alimento ricco di zuccheri semplici come il gelato provocava un innalzamento glicemico inferiore a quello del pane bianco, composto da una quantità maggiore di zuccheri cosiddetti complessi. Veniva così messo in dubbio un dogma valido fino ad allora nella dieta per il diabete, cioè che i carboidrati complessi avessero un minore e più lento impatto sulla glicemia rispetto a quelli semplici.
Cosa misura l’indice glicemico
Quando un alimento a base di carboidrati, come per esempio il pane bianco, provoca un brusco ed elevato rialzo glicemico, significa che l’organismo riesce a estrarne il glucosio (che è la nostra “benzina”) con poca fatica, a prescindere se questo cibo è a base di zucchero semplice o complesso. Un caso tipico è quello delle patate o delle farine raffinate ricche di amidi (carboidrati complessi), che hanno addirittura un indice glicemico più alto del saccarosio (il comune zucchero da tavola). Al contrario, se l’estrazione del glucosio è più lenta e difficoltosa, come nel caso dei cereali ricchi di fibre, la glicemia si alzerà più gradualmente e avrà una curva più bassa.
L’indice glicemico misura la diversa capacità di alzare la glicemia degli alimenti raffrontati col glucosio, che ha valore 100. Quindi, tanto è minore l’IG e tanto il rialzo glicemico sarà contenuto. I cereali integrali e i legumi hanno un IG basso, mentre il pane bianco o le patate, i cui zuccheri vengono assorbiti facilmente, hanno un IG alto. Da quanto detto, non stupisce che gli alimenti quali frutta, verdura, legumi e cereali integrali abbiano in genere degli indici glicemici bassi o medi.
Perché è considerato dimagrante
Sovrappeso e obesità sono condizioni che, una volta instaurate, tendono ad auto-mantenersi. In un certo senso, è come se l’eccesso di peso facesse “impazzire” i sistemi di autoregolazione dell’introito alimentare. Una delle più comuni condizioni provocata dai chili di troppo, che impediscono il dimagramento, è l’iperinsulinemia. Dopo i pasti, a seguito della digestione dei carboidrati, il glucosio si riversa nel sangue alzando la glicemia. Il rialzo glicemico stimola la secrezione di un ormone prodotto dal pancreas, l’insulina, che ha il compito di intercettare le molecole di glucosio nel sangue per farle entrare nelle cellule, che utilizzeranno il glucosio a scopo energetico.
In questo modo, vengono riportati alla normalità i valori glicemici ematici che devono rimanere stabili nell’organismo. Quando l’insulina viene secreta in maniera elevata dal pancreas a causa di eccessi dietetici e del consumo di cibi con IG alto (che rilasciano, quindi, molti zuccheri in circolo), può provocare degli effetti collaterali che favoriscono l’aumento di peso. Questo ormone svolge, infatti, un’azione anabolica e favorisce l’aumento dei depositi adiposi. In altre parole, trasforma gli zuccheri in “ciccia”. Allo stesso tempo, l’insulina inibisce lo smaltimento dei depositi di grasso. In parole semplici: da una parte favorisce l’aumento del peso e dall’altra impedisce di “bruciare” a scopo energetico il grasso corporeo.
Sazi più a lungo quando l’IG è basso
L’insulina in eccesso, dovuta al brusco rialzo glicemico provocato dal consumo di alimenti ad alto IG, disturba anche l’equilibrio tra fame e sazietà. Questo ormone provoca un rapido utilizzo di tutti gli zuccheri presenti nel sangue e nel giro di poche ore il segnale che arriva al corpo è di nuovo un bisogno di zuccheri e quindi di cibo. Si tratta del cosiddetto rebound, o rimbalzo glicemico, tipico dei consumatori abituali di merendine o cibi dolci, che circa ogni 1 ora e 1/2 o 2 sentono di nuovo appetito (ma anche sintomi quali debolezza, tremori, mal di testa) e hanno bisogno dell’ennesimo snack.
Viceversa, quanto più si riesce a basare la propria dieta su alimenti a basso o medio IG, che muovono meno la glicemia, tanto più il senso di sazietà e benessere sarà duraturo (3-4 ore) e anche un semplice spuntino a base di frutta risulterà sufficiente. Inoltre, i carboidrati a basso IG sono anche più sazianti per il contenuto di fibre e hanno una densità energetica inferiore di quelli ad alto IG. Di conseguenza, le calorie introdotte si riducono senza soffrire la fame e diventa più facile seguire con costanza una dieta ipocalorica.
Le cinque regole d’oro per una dieta a basso IG
1) Preferire piatti a base di chicchi integrali dei cereali (grano, farro, orzo, avena), che hanno sempre un IG più basso rispetto alle loro farine. Il riso ha un IG alto, mentre il riso basmati ha un IG basso, per cui è preferibile.
2) Le paste di grano (da cuocere al dente) riso o soia hanno un IG inferiore a quello di pane, riso o pizza. Per ridurre in parte l’effetto sulla glicemia di pizze o focacce, farle precedere da un abbondante piatto di verdure crude.
3) Preferire il pane a base di farina integrale o poco raffinata, possibilmente a lievitazione naturale (pasta acida).
4) Aggiungere olio o semi oleosi diminuisce l’impatto glicemico del piatto. Anche gli altri grassi allungano i tempi di digestione degli zuccheri. L’aggiunta di ortaggi, poi, contribuisce a ridurre l’indice glicemico della pietanza.
5) I frutti acidi hanno un IG più basso degli altri. La mela con la buccia è un’ottima fonte di fibre insolubili, che modulano beneficamente l’assorbimento degli zuccheri.