La diagnosi differenziale delle diverse cause alla base delle gambe gonfie è decisamente complicata e può prevedere di distinguere tra almeno 30 cause alternative, alcune cosiddette sistemiche (scompenso cardiaco, malattie renali o epatiche, malattie della tiroide…), altre locali
Molto spesso il primo approccio al problema è il meno utile: la richiesta di un eco-color-doppler venoso degli arti inferiori. Una visita adeguata è invece in grado di distinguere in modo efficace tra le varie cause di edema e indirizzare agli approfondimenti diagnostici più adatti nel singolo caso, riducendo tempi di diagnosi e costi e incrementando l’appropriatezza delle prestazioni. Ma vediamo di che cosa si parla.
Diverse forme di gonfiore
Anche se in apparenza le tre definizioni di edema, lipedema e linfedema sono molto simili, la differenza tra loro è notevole e influenza pesantemente anche la fase diagnostica e la successiva terapeutica. Il termine edema indica un accumulo di liquido negli spazi interstiziali* tra le cellule, normalmente si tratta di acqua con poche proteine disciolte. Lo si apprezza soprattutto nello spazio sottocutaneo al di sopra della fascia muscolare, che è la membrana che riveste i muscoli, al di sopra della quale troviamo tessuto grasso, ipoderma, derma ed epidermide, lo strato superficiale della pelle. Questo tipo di edema è definito “molle”, infatti si sposta facilmente con la compressione di un dito e quando si rilascia la pressione rimane per qualche tempo una depressione, la cosiddetta fovea, che sparisce poi lentamente. Si accumula normalmente nelle zone basse (gambe, mani) a causa della gravità e può spostarsi. Per esempio, in un paziente con scompenso cardiaco allettato lo si può reperire alla schiena, ai glutei e nelle parti posteriori degli arti inferiori. Di solito è bilaterale in quanto le sue cause sono più spesso sistemiche che locali. Tutt’altra situazione è quella del lipedema. In questo caso si tratta di accumulo non di liquidi, ma di tessuto grasso nel sottocute degli arti inferiori. L’aspetto dell’arto è a colonna, con la perdita delle normali forme e tipicamente risparmia il piede, arrestandosi improvvisamente alla caviglia, accompagna la persona fin dalla gioventù e tende a evolvere lentamente nel tempo. Il tessuto è elastico e alla compressione non si crea una fovea, la pelle è di normale colorito e non si sposta alle variazioni della posizione del corpo. Molto di frequente è bilaterale e le sue cause sono costituzionali e localizzate negli arti interessati.
Ancora differente è il linfedema. Anche in questo caso si ha accumulo di liquidi, molto di frequente nel sottocutaneo, ma – a differenza dell’edema – si tratta in questo caso di linfa, ancora acqua ma con disciolte molte proteine. La presenza di proteine aumenta la pressione oncotica* nell’interstizio, infatti le proteine tendono a trattenere l’acqua e questo rende il linfedema “duro” e non facilmente spostabile. Se anche si riuscisse a provocare una fovea, questa scomparirebbe molto velocemente. Colpisce con maggiore frequenza gli arti inferiori e può essere sia bilaterale sia monolaterale. Nei casi più avanzati il tessuto sottocutaneo acquista una consistenza elevata e tipicamente non si riesce a pizzicare la pelle alla base delle dita dei piedi (segno di Stemmer positivo). Un’altra caratteristica è la maggiore visibilità delle pieghe cutanee. Le cause possono essere costituzionali, la persona nasce con meno vasi linfatici del previsto, o secondaria a interventi chirurgici (tipico il linfedema del braccio post mastectomia) o ancora a infezioni tipiche dei Paesi tropicali. Ovviamente, tanto per complicare l’esistenza, esistono forme “miste”, delle quali il flebo-linfedema la più consueta. Anche dalle semplici descrizioni fatte finora si può desumere che la diagnosi di queste tre forme può essere semplicemente clinica e non necessita in prima istanza di esami sia ematici sia strumentali. Un medico è normalmente in grado, con un’anamnesi e un esame obiettivo accurati, di arrivare a un’ipotesi diagnostica fondata. Per certi versi la sfida più difficile si verifica nel caso dell’edema molle, in quanto la prima cosa da fare è escludere malattie sistemiche potenzialmente gravi.
Cosa può fare lo specialista?
Il grande vantaggio del medico angiologo è la disponibilità, di solito di fianco al lettino di visita, del “terzo occhio”, l’amato ecografo. L’ecografia permette infatti di differenziare abbastanza facilmente tra edema, lipedema e linfedema. Nel primo e nel terzo caso si evidenziano i “laghi linfatici*” nel sottocute, ma questi nel caso del linfedema si riducono scarsamente con la compressione esercitata con la stessa sonda, mentre nel caso del lipedema non ci sono accumuli di liquido, ma tessuto grasso omogeneo. Anche l’approccio terapeutico è molto differente: nel caso dell’edema non sistemico nel quale si possa ipotizzare una causa venosa non si devono usare diuretici. Le cure mediche, intese come farmaci flebotonici*, possono aiutare ma solo l’incremento dell’attività fisica, la correzione della dieta e la riduzione del peso corporeo, variamente associati tra loro a seconda della necessità, sono realmente efficaci.
Il lipedema non si giova di farmaci né di diete particolari (ovvio che se si ingrassa può solo peggiorare) ma trova spesso, oltre certi limiti, una risposta solo nella chirurgia estetica mediante tecniche di liposuzione, potendo però portare recidive. Il linfedema è invece un quadro complesso che, se colto nelle fasi iniziali, può essere gestito egregiamente con la terapia fisica complessa (drenaggio linfatico, fasciature, ginnastica sotto compressione, compressione elastica di mantenimento, ma anche correzione degli stili di vita scorretti, sempre associati mai da soli) che però non deve essere considerata curativa e va ripetuta a cicli personalizzati nel tempo. Per casi selezionati vi sono anche opzioni chirurgiche. Insomma, in tempi di vacche magre ricordiamoci, tutti – pazienti e medici – che la clinica deve essere sempre il primo approccio e l’impegno personale il metodo di cura più efficace e meno costoso.