L’obesità in età pediatrica non è un semplice “problema” estetico. Né tantomeno va considerata sinonimo di benessere
L’aspetto florido, che rende spesso felici i nonni, infatti, trae spesso in inganno, tra l’altro non esiste alcuna ragione scientifica che lo correli a un migliore stato di salute. Anzi, al contrario, è dimostrato che il bambino obeso è un individuo più fragile. Ovvero, per esempio, se si ammala tende ad avere un periodo di convalescenza più lungo, presenta spesso deficit nutrizionali, soprattutto per quanto riguarda ferro e vitamina D, inoltre, è ostacolato nel suo sviluppo neuro-motorio. Non dimentichiamo, poi, che quanto più aumenta il peso corporeo tanto maggiore è la fatica fisica e di conseguenza minore è l’autonomia.
La sofferenza di muscoli e articolazioni
L’obesità nel bambino determina conseguenze molto serie che possono condizionare anche la salute del futuro adulto. Si accompagna, infatti, ad aumento di pressione arteriosa, lipidi (colesterolo e trigliceridi) e acido urico nel sangue; inoltre l’obesità è spesso abbinata a steatosi epatica, ossia a deposito di grassi nel fegato e a propensione al diabete mellito (di tipo 2). A questi risvolti metabolici si aggiunge la difficoltà motoria, tanto più marcata quanto più precoce è lo sviluppo dell’obesità, nonché la predisposizione all’artrosi. Se, infatti, a 7-8 mesi la corporatura è già eccessiva, il piccolo è ostacolato nella sua prima attività spontanea, ovvero il gattonamento.
Più impegnativo verso il primo anno di vita, dunque, sarà per lui riuscire ad alzarsi in piedi, come poi, a sorreggersi e compiere i primi passi. Sarà impacciato nei gesti, perderà più facilmente l’equilibrio, farà più fatica a maturare e coordinare movimenti e riflessi. In definitiva, sarà meno incentivato nel suo istintivo bisogno di scoprire la realtà circostante. Tenderà a preferire i giochi sedentari e solitari, anche perché se si troverà con un gruppo di coetanei, verrà facilmente superato dagli altri, con i quali non si confronterà volentieri.
In ogni caso, non lasciamoci fuorviare dall’aspetto di braccia e gambe, la cui vistosità è dovuta soltanto al deposito di tessuto adiposo e non a una massa muscolare più consistente. La persistenza di un peso eccessivo promuoverà il valgismo delle ginocchia (ossia la loro conformazione “a X”) e un’usura più rapida delle cartilagini articolari. In altri termini, quanto più grave e duratura è l’obesità infantile, tanto maggiore e anticipata, in età adulta sarà l’artrosi, in particolare a carico degli arti inferiori, con tutte le sue gravose implicazioni assistenziali, sociali e psicologiche. Senza poi considerare eventuali difetti posturali, che possono ripercuotersi sull’assetto della colonna vertebrale.
Naturalmente tutte conseguenze che, trasposte in età scolare, si traducono in un bambino che tende a isolarsi e può anche diventare bersaglio di atti di bullismo. In sintesi, l’obesità innesca un circolo vizioso per cui la minore attività fisica riduce il dispendio e, quindi, il fabbisogno energetico. Il contributo degli errori che caratterizzano spesso l’alimentazione dell’obeso (salto della prima colazione, consumo di bevande zuccherate, apporto eccessivo di proteine e cibi a elevata densità calorica) non potrà, quindi, che facilitare il mantenimento dell’obesità, se non aggravarne ulteriormente l’impatto.
Il criterio per definire l’obesità
L’Indice di Massa Corporea (abbreviato IMC in inglese BMI, Body Mass Index) è un indicatore indiretto dello stato di adiposità, semplice da misurare e comunemente utilizzato negli studi per valutare il rischio di sovrappeso e obesità: si ottiene dal rapporto tra il peso del soggetto espresso in chilogrammi diviso il quadrato della sua altezza espressa in metri. Il sovrappeso è definito da IMC superiore a 25 Kg/m2, l’obesità da IMC superiore a 30 (è considerata grave per IMC oltre 35).
La realtà nazionale
L’andamento dell’obesità infantile è monitorato da Okkio alla SALUTE, progetto coordinato da Epicentro (Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute) dell’Istituto Superiore di Sanità e condotto in collaborazione con le Regioni e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Gli ultimi dati resi noti sono quelli del 2016 della Basilicata, che si colloca al quarto posto in Italia: il 4,5% dei bambini presenta obesità grave, l’8,6% risulta obeso e il 23,9% sovrappeso, a fronte di una media nazionale rispettivamente del 2,1%, 7,2% e 21,3% e dello scenario della Campania, a cui spetta la maglia nera, seguita da Calabria e Molise, del 4,7%, 13,2% e 26,2%.
Cosa si può (e si deve) fare
La parola chiave è una sola: prevenzione. L’allattamento al seno è la prima forma di prevenzione, ma qualora non sia possibile va ricordato che l’apporto di latte con le poppate e, successivamente, l’impostazione dello svezzamento devono essere condivisi con il pediatra di famiglia.
I genitori devono trasmettere un modello corretto non soltanto alimentare, ma anche comportamentale, stimolando il bambino a muoversi, dando il buon esempio, approfittando di tutte le occasioni per uscire, camminare e, se possibile, lasciare a casa l’automobile. Un’adeguata attività fisica, associata a una dieta appropriata, infatti, è in grado di prevenire il rischio di sovrappeso nei bambini. Si consiglia che svolgano attività fisica moderata o intensa ogni giorno per almeno un’ora. Questa attività non deve essere necessariamente continua e comprende tutte le attività motorie quotidiane.
Una spia importante è l’aumento nei primi 2 anni di vita dell’indice di massa corporea (IMC), che il pediatra valuta in occasione delle visite filtro. Questo dato, riscontrabile ancora prima del cambiamento dell’aspetto corporeo, infatti, rende necessario un intervento, che si traduce nell’individuazione e nella successiva correzione delle abitudini scorrette. La dieta corretta deve essere variata ed equilibrata e mai monotona. Ricordiamolo, il bambino è portato a mangiare ciò che vede sulla tavola e trova in casa.